Recensioni

La Fiaba l'Astratto La Strada

Giorgia Basili


Un'anima da esploratrice naviga a bordo di vetture aerodinamiche, zeppelin, senza timore come le protagoniste dei film animazione firmati Hayao Miyazaki.
Ed ancora funamboli, mongolfiere, balene in grado di salpare i cieli e desideri troppo grandi da chiudere in un fagotto; un immaginario collodiano che si riversa entro scenari dalle incontaminate possibilità di espansione. Alessandra Carloni porta l’innocenza di un sogno ad occhi aperti e lo tinge con la sua tavolozza, tonalità che sembrano spente da una punta di grigio, mai accese e sgargianti, sempre virate di una sottaciuta malinconia, come un ricordo che sta per svanire ma viene fermato, contemplato e mai del tutto congedato. Due spinte opposte: estrema leggerezza e forza di gravità, un elefante in una cristalliera viene dotato improvvisamente di ali di farfalla. Effettivamente, enormi cetacei assumono le vesti di Pegaso, con in sella una figura femminile dalle fattezze di bambina, caschetto, cappellini da aviatore, occhi imperscrutabili, assenti nel vero senso della parola. Essenziale non è la vista ma la visione, un’indagine che va oltre la scienza inalberandosi nei fertili meandri della mente. La troviamo di profilo, di tre quarti o di schiena, sempre pronta a librarsi per una nuova avventura. Una comparsa o la testimone di mille peripezie, l’artista stessa, sembra calarsi una maschera sul volto e trasformarsi in un personaggio da fiaba che potrebbe essere calzato a turno da chi ha piacere a rimanere di tanto in tanto con la testa fra le nuvole. Ecco allora affacciarsi da un’altissima casa tra gli alberi, inforcato un binocolo, la nostra eroina mentre scruta la crosta terrestre, un’isola che non c’è o che non vediamo.

Torrenti dai flussi deviati, vite interrotte, terra inaridita e resa brulla da una realtà rapace, gli oli di Silvia Paci, rarefatti e tremanti, si sobbarcano delle responsabilità e dell'angoscia date da uno scarto, quando subentrano incongruenza ed imprevisto: la paura dello sconosciuto avvolge con una coltre carica di nebbia e fuliggine le presenze fantasmatiche che si alternano sulla superficie. Il gusto di una stratificazione molteplice di velature taglia orizzontalmente la tela e la percuote, smussa i contorni delle figure e le travolge con onde tenaci, contribuendo a rafforzare un'apparizione fugace ed effimera. La pittura si svela un'incubatrice onirica: incubi e visioni si stagliano nella mente, si imprimono nella materia pastosa per poi sfumare come una fotografia immersa in un liquido. Volti femminili con sguardi accattivanti o interrogativi bucano lo schermo, penetranti; bambini con fasci di liane tra le braccia, risucchiati nel verde di una vegetazione selvaggia ed indisciplinata. Ambiguità e no sense, è l'identità della persona che si sgretola entrando in contatto con l'altro. Se l'artista scandaglia il concetto della maschera nella nuova società delle immagini, dalla realtà aumentata al virtuale, le piattaforme social e l'ossessione per l'esteriorità e gli stereotipi di bellezza, lo fa in maniera sottile: la chirurgia, il barbiere, il corpo su rigide barelle pronto a sottoporsi ad innumerevoli mutazioni, la schiavitù sessuale, sono alcune delle tematiche affrontate da Silvia Paci.

Se Helen Frankenthaler campiva lo spazio della tela con macchie squisite di colore, guazzi emozionali e sognanti, paesaggi umidi e miraggi, Sandra Bertocco riesce, con i suoi accostamenti equilibrati ed allo stesso tempo audaci, a regalarci sprazzi di lirismo, condense sentimentali, percorsi visivi leggeri e vertiginosi, come ponti in sospensione. Nei suoi acrilici su tela ci troviamo in una mappatura di colori brillanti e vividi, pervasivi e dissetanti. La sensazione che invade il fruitore è quella di potersi muovere liberamente in una vallata levigata da rivoli d'acqua pura, persino di correre fino all'oceano per respirare, a pieni polmoni, l'aria salubre e salmastra. Le striature trasversali si incontrano e si scontrano, compenetrandosi, senz'ombra di violenza. Siamo lontani dagli aspri accenti espressionisti alla Hans Hartung, dal malessere, dall'urgenza e contingenza degli espressionisti astratti. Qui, la pittura si palesa come momento sinfonico e rigenerante. Ogni tonalità vibra come una corda pizzicata, permane e si fonde con il tocco successivo in maniera diacronica. L'ordine, se stabilito, è dato dalla direzione della pennellata e tende a virare ogni qualvolta lo sguardo si sofferma su un nuovo colore, per poi articolarsi in una visione d'insieme.
Marine e remoti roccaforti epici, silhouette che si percepiscono come rimanenze non filtrate dal linguaggio astratto, appigli, ancore o portali per l'immaginazione? Rannicchiato, blu, Danae, Panta Rhei i titoli sono i cardini per affrontare il nostro viaggio in una mitologia rarefatta di pulsioni ed emozioni soverchianti.
L'arte si rivela così evasione? O non è nient'altro che adesione consapevole e appassionata alla vita? I confini si fanno labili e l'arte e la vita si amalgamano non potendo più prescindere l'una dall'altra. Se Alessandra Carloni si cala nei suoi dipinti indossando una sorta di maschera greca che le permette di saltare da una storia ad un'altra, Silvia Paci cerca di mettere a nudo l'inganno sociale di una felicità puramente estetica ed illusoria, di promesse e modelli già preconfezionati, puntando il dito sulle maschere che ognuno desidera all'occasione indossare. Non a caso riflette sul concetto avanzato da Umberto Galimberti di "straniero che ci abita". Sandra Bertocco mitiga i condizionamenti sociali sostentandosi di una materia che attiene allo spettro luminoso, il colore come il nostro occhio e la nostra mente lo percepiscono, invade lo spazio della tela. Nel 1910 Kandinsky approdava all'astrazione e scriveva Lo spirituale nell'arte. Da quel momento si poteva scegliere se partire dall'interiorità per arrivare ad elaborare forme pure o se estrarre il succo, il midollo del reale, per arrivare a manifestazioni pittoriche aliene, o almeno non più direttamente identificabili con soggetti ed oggetti tangibili. Bertocco si sposta in questi territori, non dimenticandosi talvolta di ispirarsi ed attingere dall'idea e dal concreto di ciò che la circonda.